Cose dell’Altro Mondo/ Oceania e Amazzonia.
Arte
Frazione Coasco-Marinaverde, 38, Villanova d'Albenga, SV, 17038, Italia
18/10/2025 - 31/12/2025
“Di là dal fiume e tra gli alberi…”
Struggenti. Spietati, misteriosi. Hai sempre la sensazione di essere ad un attimo dal comprenderli. Quieti e impetuosi, ma non immensi come il mare, forse stanno ad esso come le arterie stanno al sangue. Attorno ai fiumi è nata la vita e si sono sviluppate civiltà che da essi sono dipese.
Ci sono fiumi che sono di fatto essi stessi mondi definiti, e che definiscono civiltà. In questo senso Oceania ed Amazzonia sono assimilabili: al netto delle profonde diversità, lo scorrere dell’acqua ha significativamente segnato entrambe.
La metafora del fiume che abbiamo scelto per questa narrazione è evocata dalle forme di polistirolo che hanno trovato nuova vita nelle installazioni ospitate nei Magazzini del MAP; non sono più seste per gettare arcate e non sono finite in discarica, sono diventate l’elemento alfabetico costante delle nostre esposizioni.
Oggi sono onde, solcate idealmente senza soluzione di continuità da figure ancestrali di popoli lontani tra loro, ma uniti dalla importanza vitale della presenza dell’acqua, che trascina con sé tronchi e vita.
Le opere tradizionali provenienti da Oceania e Amazzonia dialogano con il nostro tempo e con il nostro mondo attraverso le sedie scultoree di Mario Botta (Quinta, 1985, Alias) e l’installazione di Matia Chincarini Oponopon. L’artista ha pensato questa opera ispirandosi sia ai Surrealisti sia ad una antica pratica di guarigione e riconciliazione hawaiana chiamata Ho’oponopono, che si traduce come “mettere le cose al posto giusto”.
In realtà fin dal sottotitolo dell’evento abbiamo cercato la connessione con i nostri linguaggi, scegliendo l’omonimo romanzo di Hemingway. Di là dal fiume e tra gli alberi narra una bella storia: una storia di vita, morte, amore e memoria. Che sia ambientato tra il fiume Tagliamento e Venezia, luoghi apparentemente così diversi dagli arcipelaghi Oceanici e dalle foreste pluviali dell’Amazzonia, crea un contrasto solo apparente; c’è lo stesso intimo, struggente e malinconico rapporto con l’acqua, presenza discreta ma costante.
È anche interessante riflettere sulla struttura letteraria che fu la cifra del romanzo hemingwayano, la “teoria Iceberg”, o teoria di omissione. Essa consiste nel mostrare in superficie il minimo indispensabile lasciando sottintendere quanto si muove nel profondo. Non si tratta solo di sapere ottenere il massimo risultato con il minimo dispiego di parole, anche se essere conciso è una qualità che certamente Hemingway praticò essendo stato anche giornalista. C’è una formidabile capacità di rendere i fatti narrati la rappresentazione simbolica di ciò che accade nell’animo dei diversi personaggi, e di trasformare quella rappresentazione in evidenza archetipale che ci coinvolge direttamente, singolarmente.
Esattamente come accade in linguaggi apparentemente lontani da noi come quelli evocati in questa esposizione.



