EPITOME, VOLUME 2

Arte

Accademia di Belle Arti di Urbino, Via dei Maceri 2, Urbino, PU, 61029, Italia
25/04/2022 - 26/06/2022

Il “secondo capitolo” della rassegna Epitome – ciclo di esposizioni dedicate alle collezioni permanenti dell’Accademia di Urbino – è incentrato su tre personalità che hanno contribuito al prestigio dell’istituzione urbinate.
In apertura della Galleria Adele Cappelli trovano posto una quindicina di manifesti di Massimo Dolcini (docente di Tecniche della Fotografia dal 1972 al 1984) che sono stati realizzati per promuovere le attività dell’Accademia. L’esteso arco temporale cui appartengono i manifesti, che datano agli inizi degli anni Sessanta fino alla fine degli anni Novanta, permettono di ripercorre l’excursus professionale di Dolcini, dalla sua adesione al Supergurppo proseguendo poi con lo studio di progettazione Fuorischema e l’agenzia Dolcini Associati. Oltre a uno stile inconfondibile, Dolcini promuoveva una cultura del progetto che doveva avere un approccio etico oltre che estetico; da qui l’anelito a una comunicazione condivisa, incentrata sulle relazioni e le reciproche contaminazioni. Particolarmente significativi sono i manifesti delle Iscrizioni all’Accademia di Urbino in quanto rispecchiano il “fare comune” vaticinato da Dolcini, a dimostrazione di come il Maestro collaborasse a stretto contatto con gli studenti.
Di Gianni Contessi (docente di Teoria della percezione e psicologia della forma negli anni 1975-78) viene riproposta la cartella contenente le dodici eliocopie della mostra Basta il progetto inaugurata a Trieste nel dicembre del 1972. L’esposizione, ancor oggi di stingente attualità, sanciva un momento particolare e privilegiato della ricerca razionalista. Individuando una similarità tra i sistemi operativi degli artisti e dei designer, Contessi considerava la progettazione come un processo autonomo, e quindi come un’opera a sé; per tali ragioni distingueva la progettazione in due modi: «uno, per così dire ideologico o culturale, l’altro puramente materiale e strumentale», ammettendo – se non addirittura caldeggiando – l’intrecciarsi dei due fattori. E non per caso viene scelta l’eliografia (un procedimento di stampa di cui si avvalevano soprattutto gli studi di architettura) per riprodurre i progetti di Rodolfo Aricò, Renato Barisani, Luciano Celli, Sandro De Alexandris, Marcolino Gandini, Paolo Legnaghi, Carlo Lorenzetti, Marcello Morandini, Gianfranco Pardi, Pino Spagnulo e Giuseppe Uncini. Agostino Bonalumi recapitò invece una lettera d’intenti in cui teneva a ribadire come il progetto non dovesse essere inteso come la stesura codificata di un’idea ma fosse valutato secondo i parametri del suo stesso linguaggio.
Introdotto dall’eliocopia Prospettiva Pondus, Rodolfo Aricò (docente di Scenografia dal 1970 al 1979) è al centro di un piccolo ma sentito omaggio in cui sono presenti una serie di documenti d’archivio e un’opera originale donata in memoria di Bruno Lorenzelli Sr. Il carattere analitico-riduttivo della pittura di Aricò si precisa intorno alla metà degli anni Sessanta, allorquando la concitazione esistenziale si contrappone a un impianto geometrico, razionale ma non meramente intellettuale. In quel volgere d’anni l’artista ammette di avere un «atteggiamento che mira a far dimenticare la geometria, a non dichiararla come fattore espressivo nella poetica, ma a farla dimenticare in uno spazio pluridimensionale di un campo bidimensionale, dove i fuochi visivi siano molteplici, in una dinamica attiva di percezioni multiple». Nel corso del tempo, metodo e disciplina permettono all’artista di sondare la morfologia pittorica, giungendo così a un fare primario che è da intendersi come originario, ossia come lavoro ontologico, di riscoperta dell’archetipo, dell’identità, del gesto e del segno. Nel suo divenire e mutare, l’opera di Aricò diventa quindi un “evento” costellato da incidenti, accadimenti e scoperte che caratterizzeranno il ventennio Ottanta-Novanta, periodo in cui l’artista sembra voler assecondare la natura del dipinto anziché imporla, intuendo come l’essenza dell’arte sia da perseguire nella sua stessa esecuzione.