“IL GIORNO NON BASTA” PAOLO NOVELLI
Fotografia
GALLERIA MASSIMO MININI, VIA APOLLONIO 68, BRESCIA, BS, 25128, Italia
15/01/2022 - 26/02/2022
Fotografo determinato e per certi versi intransigente (più verso se stesso che nei confronti degli “altri”), Paolo Novelli insegue le proprie certezze più che i fantasmi, con una ricerca che mira a costruire un organismo immaginifico strutturato a priori. E questa è la sua terza personale da noi.
Le fotografie escono dalla sua mente, piccole e dense famiglie pensate e intuite ancor prima di essere scattate.
Si direbbe che siano proiezioni della sua volontà più che trouvailles. Sono figure che esistono e vivono appartate in attesa che il Nostro le sveli.
Velare, svelare, rivelare...spesso l’arte del XX secolo ha nascosto per meglio far vedere. Da Man Ray che avvolge oggetti con plastica e spago, a Christo che impacchetta fiumi, coste, edifici, a Burri che col Cretto di Gibellina nasconde una intera città sotto il cemento. E il vizio era già diffuso da secoli: i sottilissimi veli nelle sculture delle Àure nel tempio delle Nereidi a Xantos, ora al British, i panneggi agitati dai venti nel compianto di Bologna.
Ma chi vela provoca scientemente in chi guarda il desiderio di vedere meglio.
Ulisse ad esempio, che non perdeva mai occasione, quando vede Calypso coperta di veli la svela per meglio vedere ciò che già si immaginava e si intravvedeva chiaramente.
L’Apocalisse (apò Kalipsos) è una rivelazione della cosa desiderata, sognata, intuita; poi, dopo Giovanni, acquisterà il significato di rivelazione di segreti destini dell’umanità.
Ecco Novelli proietta fuori di sé le “sue” immagini del desiderio e poi va a cercarle nei tunnel, nei cimiteri, nelle nebbie della notte, e ora, nella duplice ricerca di senso, dietro persiane chiuse o finestre murate.
Ma non è una ricerca meramente formale. La fotografia è passata attraverso le forche caudine della forma (penso alle immagini del Bauhaus) a tal punto che, anche oggi, “forma” viene presa a simbolo, nome buono per riviste, gallerie, musei, libri.
La forma esiste, inutile cercare di sbarazzarsene, ma deve essere messa al servizio di un’idea, deve aiutare una interpretazione della realtà, deve lasciar intravvedere ciò che sta sotto la sottile pellicola che i bagni, lo sviluppo e la stampa hanno depositato sulla carta, in una trasparenza simile alla pittura ad olio con le sue velature.
Qui le velature sono i passaggi di grigio che l’analogico esalta, mentre il nuovissimo digitale è come l’acrilico: più freddo, tagliente.
Sì, la “forma” è necessaria, bella o brutta, ma non dimentichiamo il contenuto che deve dominare e non può farsi rubare la scena da Lei solo perché ha le ciglia finte.
Sì, perché se il problema non è la forma (decorazione) e nemmeno la materia (ricchezza), allora non resta che il contenuto, le idee, l’iperuranio. E dal settimo cielo siamo osservati, noi poveri mortali che ci interroghiamo sul nostro destino, mentre passiamo la vita in tristi stanze, nell’attesa di estinguere il mutuo per la casa color marrone con quelle cieche finestre che celano misteri.
Massimo Minini, 1 gennaio 2022