L’habit ne fait pas l’ange …

Arte

SHAREVOLUTION Contemporary Art, Piazza S.Matteo,17/5, Genova, GE, 16123, Italia
11/05/2019 - 22/06/2019

Il tema dell’angelo, è stato reiteratamente affrontato da pluralità di artisti, attraverso moltitudini di generazioni, ed appare ad un primo approccio quasi “bizzarro”, casuale, privo di apparenti necessità, ma ad una riflessione neanche troppo approfondita si svela in tutta la sua luce: un angelo, in molte tradizioni religiose, è un essere spirituale che assiste e serve Dio o gli dei, o è al servizio dell’uomo lungo il percorso del suo progresso spirituale e della sua esistenza terrena.
Quale metafora più calzante nella vicenda dell’artista: è sufficiente sostituire la parola Dio con la parola arte, proposizione ineffabile e potente quale la figura di Dio.
Può allora, l’artista, non cadere nella tentazione di identificarsi con questo simulacro?
Lory, consapevole di questo suo ruolo di angelo, prova a dirci che non vuole più esserlo.
Nel video ‘J’ai pas envie d’être un ange!’ vuole vivere la propria vita quotidiana con intensità, abbandonare ciò che era prima e che oggi non vuole più, abbandonare un modo di essere, di vivere, di vedere le cose. Lo strappo delle ali ci dice del rifiuto di come si era, quando si poteva essere, e di una predisposizione ad avere un atteggiamento per essere ciò che si vuole essere, un atteggiamento, dunque, sostanzialmente diverso verso la vita; traspare anche, nei gesti, la volontà di non morire in questo etereo e abusato angelo che è in tutti noi.
Rimane solo una camera vuota in cui la presenza fisicamente partita, lascia una camera abbandonata; il riferimento è all’opera teatrale ‘Huis clos’ di Jean Paul Sartre dove, a differenza, i personaggi continuano a combattere per l’eternità in una trincea impossibile. La stanza, per Lory Ginedumont, apparterrà a qualcun altro, non sarà più sua, dunque la rinascita è compiuta.
Ma, attenzione, l’artista non intende affatto informarci che non vuol più esser un artista, tutt’altro, quello che sembra volerci comunicare, è la ricerca di nuove modalità, di vita e di senso, nuove prassi per guardare il reale, e di conseguenza, inevitabilmente generare nuove realtà.
In mostra viene presentata una serie di immagini fotografiche, il cui titolo è ‘L’ange fait l’habit’, dove emerge un racconto, quello personale ed intimo dell’artista di quando si sentiva angelo e del momento in cui ha cessato di volerlo, attivando una spoliazione alla fine della quale non rimane che la sua giacca con i relativi fori alati, unica traccia visibile di ciò che è stata. La giacca, dunque, come traccia e tutta la mostra è incentrata su questa e sulla memoria per il tramite, appunto, dell’abito.
Con l’avanzare del tempo, il mondo esterno perde sempre piú consistenza, fino a scomparire per lasciar emergere la memoria.
La memoria, per Lory è risalire indietro nel tempo come nella madeleine di Marcel Proust, nel celebre passo di ‘Dalla parte di Swann’, dove il profumo delicato diviene veicolo per aprirvi un varco. In mostra ogni opera è lo spunto per far emergere il passato e i ricordi intimi e soggettivi e per rivivere ciò che appariva apparentemente rimosso, ed il passato diventa attuale nel presente.
La giacca nella bacheca costituisce quindi l’equivalente della madeleine, come lo sono gli abiti che compongono l’installazione ‘L’ange fait l’habit’, abiti che solo gli angeli possono indossare.
Se si è un angelo, si ha un abito, ma solo un angelo può portare questi abiti, siano essi con le ali, oppure senza. Ecco il senso del titolo della mostra. Da non dimenticare, infine, che tra gli abiti angelici c’è anche il cappotto personale dell’artista che, insieme alla giacca della bacheca e alla maglia, costituiscono, dal punto di vista dell’artista, l’aggancio alla contemporaneità.
L’intento di Lory Ginedumont è quello di inventare un falso museo, cercando e generando rimandi intellettuali, come se l’artista avesse mantenuto e conservato gli abiti attraverso i secoli per poi mostrarli nel nostro presente.
In questo microcosmo che attende l’imminente catastrofe, o che evoca quella appena avvenuta,
vivono anche altri personaggi: sono le ombre della vita già trascorsa, delle occasioni perdute, di una vicenda familiare vissuta come una grande avventura…
Lory racconta nel suo video solcato da profonde sfumature esistenziali, ‘Dites-lui que vous l’aimez’ le difficoltà nell’accettare la provvisorietà dell’esistenza e dell’instabilità del mondo, fino alla perdita effettiva di colui che le ha dato origini e identità: il padre.
Nel video è rappresentata la stanza del padre con la sua valigia dove vengono riposti gli oggetti personali per partire. La valigia appartenuta al padre da giovane, quando per guadagnare qualche soldo come barman, prima di affermarsi a Parigi, vi poneva camicia, papillon e gilet per andare al lavoro.
Lo sforzo nel far la valigia è infinito, a causa della malattia che gli sottrae progressivamente energia e forza fisica. Nel rifare oggi quella valigia viene posto il modellino di un veliero, acquistato in gioventù, che ha sempre costituito, nell’immaginario del padre, il simbolo e la passione del viaggio.
L’artista cerca di tagliare a fatica quel cordone ombelicale viscerale ed interiore, anche quando le leggi naturali per limiti di età e salute lo imporrebbero. È un conflitto ostico, faticoso, diviso tra il desiderio di non vedere l’effettività dell’esistenza lasciandosi attraversare dalla vita di sempre, costellata dal suo lavoro, di peregrinazioni tra Francia ed Italia in balia di rumorosi silenzi, osservando, dietro la sua attività d’artista, lo scorrere inderogabile del tempo, e la presa di coscienza fisica dell’indebolimento del corpo del padre che ogni giorno a poco a poco si spegne, assottiglia le sue carni, muta il colore della pelle.
Un grido che è espressione del rammarico più profondo di un essere che non si rassegna allo smacco imposto dalla scomparsa del padre, anche laddove naturale e prevista.
Cadono le finzioni, le preclusioni, le esteriorità e le tradizioni: la vita e le parole vuote e senza significato, si sfumano, si arrendono.
E si schiude la verità, per sua natura, ineffabile e immensa: “negli ultimi secondi della vita di un uomo si può racchiudere l’eterno”, sia per chi la vita la lascia, sia per chi resta.
Da questa cronaca commossa nasce e si trasmette una forza di attaccamento alla vita che non è pura invenzione artistica; nasce il piacere di ritrovare la consolazione, una umana attenzione per gli altri, che fanno di questa mostra anche una dolce speranza di vita.

Chiara Pinardi