Lost Landscape

Arte, Arti Performative, Architettura, Fotografia

Via Giannini, 30, Capodrise, Caserta, 81020, Italia
09/05/2019 - 10/06/2019

Le trasformazioni dell’uomo hanno mutato il volto, l’essenza delle città. Lanciando lo sguardo verso l’orizzonte ci si accorge della fragilità dei luoghi, dove, ormai, le differenze si annullano e forma, ordine e distanze si amalgamano in un’unica, indistinta omogeneità. Sollecitati dal Palazzo delle Arti, Marco Pili, Mario Lanzione, Germaine Muller, Gennaro Ippolito, Gianfranco Racioppoli e Diana D'Ambrosio, in “Lost Landscape”, rileggono i paesaggi perduti, restituendone trama, segni, colori e storia, nella totalità del mondo. Una sollecitazione a immergersi nella complessità dell’universo, oltre la superfice, oltre il visibile, fino all’intimità dell’uomo e del suo abitare. In uno spazio vuoto e denso, come lo scatto surreale, metafisico, che il fotografo Giovanni Izzo ha realizzato per il manifesto. Paesaggi che, nelle opere di Marco Pili, riaffiorano da strati di memoria, di terre sarde arse dal sole di agosto, di sangue di bue, di vento e di silenzi, di salsedine e di brezze marine, di luoghi di vita solitaria, serbatoi di cultura antichissima, che vengono da lontano per proiettarsi in un paesaggio futuro. Paesaggi di una metropoli immaginaria, fantastica, dove tutto si stratifica in un'architettura urbana indistinta, densa e complessa, un formicaio fantastico, nell’opera informale di Germaine Muller. Paesaggi di musica, invece, per Mario Lanzione, ispirato dalle note de Le quattro stagioni di Vivaldi, dove l’astrazione geometrica si libera del superfluo, restituendo alla visione quattro paesaggi dell’anima, che svelano, in un processo cromatico di sottili velature di colore, l’essenza della vita. Paesaggi del mito, nell’opera Gennaro Ippolito, che rievoca Ulisse sull’isola di Ogigia, schiacciato sotto un pesante orizzonte esistenziale. Inafferrabile e misterioso. Naufrago, per sette anni sull’isola con la dea Calipso, in quel lembo di paesaggio circoscritto da un mare incommensurabile, vivo e ristretto, reale e umano, misterioso e limitato. Fino ad arrivare a due altri paesaggi che si fanno installazioni: l’opera “Mille pioppi soli” di Gianfranco Racioppoli, un intervento stilistico che recupera antropologicamente la relazione fra uomo e natura. Nei secoli scorsi, questi campi di pioppi, alcuni ancora presenti nel nostro paesaggio, nascevano dalla generosità dei padri, dati in dote alle figlie per maritarsi. E, in piazza Aldo Moro, l’opera di Diana D’Ambrosio, “Inside”, che si sovrascrive allo spazio urbano, in un dialogo serrato che attiva un processo di metamorfosi del paesaggio esistente. Segni e simboli che si sommano in un insieme di insiemi. Materie segnate dal tempo, ruggini e tufi, recuperati alla memoria, ricomposti simbolicamente a disegnare una nuova architettura dello spazio, per un paesaggio dell’oltre. «Gli artisti – dichiara il curatore Michelangelo Giovinale –, hanno allungato lo sguardo fino a raggiungere una linea d’orizzonte, un segno comune a tutte le opere, che sollecita l’occhio a indagare nella superficialità e nella profondità dell’universo, nello spazio dell’uomo e del suo abitare. Denso e vuoto, come lo scatto fotografico di un paesaggio surreale, metafisico, che il fotografo Giovanni Izzo, ha realizzato per il manifesto d’autore della mostra. Un universo di insieme di corpi, di molteplicità, di luoghi, di bisogni umani e naturali, di significati che le opere evocano, con straordinaria forza espressiva e che, irrimediabilmente, sentiamo perdersi nella trama fittissima del nostro paesaggio quotidiano. Questa polis moderna, oggi incomprensibile, irriconoscibile. Vulnerabile». La direzione editoriale e creativa dell’evento è affidata al giornalista e comunicatore Claudio Lombardi. Video reportage di Alessandro Musone. Coordinamento di Rosa Bencivenga.