Mario Rizzi

Arte

Berlinische Galerie Berlin’s Museum of Modern Art, Photography and Architecture, Alte Jakobstraße 124 –128, Berlino, Berlino, 10969, Germany
05/01/2022 - 31/01/2022

Bayt, che in arabo vuol dire casa, è una personale dell'artista
Mario Rizzi, articolata intorno alla trilogia che dà il nome alla mostra.
I tre film che la compongono contribuiscono
a dare una visione sensibile, profonda e complessa di temi
quali l’identità femminile nel mondo arabo, il concetto di casa e
di sradicamento, le spinte tra innovazione e conservazione che
hanno percorso e percorrono il Mediterraneo. Iniziata con "Al Intithar"
(“L’Attesa”) nel 2013, proseguita con "Kauther" l’anno successivo,
la trilogia si è conclusa nel 2019 con "The Little Lantern", progetto vincitore
dell'Italian Council nel 2018 e personale dell'artista al Centro d'Arte
Contemporanea Pecci di Prato dal novembre 2019 al marzo 2020.
“Al Intithar” è il primo film della trilogia “BAYT” (CASA), vincitrice
dello Sharjah Art Foundation Production Grant 2012. Il concetto
di “BAYT” è ispirato a “La casa di pietra” di Anthony Shadid, in
cui l’autore scrive: «Bayt letteralmente significa “casa”, ma le
sue connotazioni vanno oltre i muri, le stanze e le pareti, ed evocano
desideri raccolti attorno alla famiglia e al luogo. Nel Medio
Oriente la bayt è sacra. Gli imperi cadono. Le nazioni crollano.
I confini possono essere cancellati o spostati. Antichi vincoli di
fedeltà possono dissolversi o, senza preavviso, modificarsi. La
casa, vale a dire la struttura fisica o l’idea di famiglia è, in sostanza
l’identità che non sbiadisce».
In “Al Intithar” il concetto di casa diventa materia
sensibile nella vita dei protagonisti, che hanno dovuto abbandonare
la propria. Per Ekhlas Alhlwani, “casa” non significa più
condurre un’esistenza radicata o abitare un luogo stabile, perché
la sua casa è ormai una tenda, da quando è stata costretta
a fuggire dalla Siria per rifugiarsi a Zaatari, il campo profughi
nel deserto giordano. Il film, che si presenta come un estratto,
segue la vita di Ekhlas per sette settimane, traducendo il tragico
macrocosmo della guerra in Siria nell’intimo microcosmo di
un’instancabile donna e i suoi tre figli. “Al Intithar” è stato presentato
per la prima volta in concorso al Festival Internazionale
di Cinema di Berlino nel 2013 ed è stato esposto in prestigiose
istituzioni artistiche di tutto il mondo, tra cui il PS1 MoMA a New
York e la Badischer Kunstverein a Karlsruhe.
“Kauther” è il secondo film della trilogia “BAYT” (CASA), un’opera
incentrata sulla nascita di una nuova coscienza civile nel
mondo arabo che riflette sulle diverse narrazioni dell’insurrezione
e sulle problematiche relative alla rappresentanza in
questo momento storico cruciale. Concentrandosi sulla poetica
intimità della casa, “Kauther” sceglie un punto di vista personale
e privilegiato: il ruolo della donna nella famiglia e nella
società islamica che cambia. In realtà, a differenza di quanto
trasmesso dalle tendenziose narrazioni occidentali, le donne
hanno avuto un ruolo di primo piano nelle rivoluzioni, risultando
le leader e le organizzatrici più attive, sia in rete che sul
territorio, fin dai primi momenti della Primavera Araba. Anziché
approfondire gli aspetti più strettamente politici delle insurrezioni,
il film sceglie di raccontare il loro impatto sulle vite private
e i rapporti umani, un lato ancora poco esplorato.
La protagonista del film è Kauther Ayari, la prima
attivista a dar voce, passione e motivazione alle sommosse popolari
dell’8 gennaio 2011 a Tunisi, parlando dalla finestra del
palazzo dei sindacati. Kauther ha incitato le persone in piazza
a lottare per la libertà, la giustizia sociale e il cambiamento democratico.
La personalità di Kauther si rivela nel film attraverso
un lungo monologo rivolto direttamente alla telecamera, girato
in una stanza vuota nell’arco di qualche giorno. Con assoluta
franchezza e fiducia, Kauther racconta se stessa, la sua giovinezza,
gli anni dell’università e il suo impegno sociale e politico
in solidarietà con il marito. Racconta la preparazione delle
sommosse del 2011 e la condizione della donna nella società
araba contemporanea. La stessa coraggiosa donna che fece
sentire la sua voce quando nessuno avrebbe mai immaginato
che Ben Ali si sarebbe potuto dimettere, ora mette i bisogni
della sua famiglia davanti a ogni altra cosa. Oggi madre di
quattro figli, la forza della sua coscienza civile e il suo sincero
idealismo restano immutati.
La sua narrazione dello spirito rivoluzionario ha
il potenziale per tracciare un articolato e aggiornato ritratto
del carattere e della struttura familiare della società tunisina.
Le parole di Kauther trasudano tristezza e senso di impotenza
quando confessa con delusione la crescente ambivalenza delle
persone nei confronti della rivoluzione e dei suoi principali sostenitori.
Si è rassegnata a tornare a condurre una vita instabile,
con tutte le sue preoccupazioni e incertezze. Il racconto dell’euforia
e dell’utopia è afflitto da questa schiacciante realtà di tradimento,
che riduce la sua risolutezza a un mero fantasticare.
Il film è stato concepito sia come opera in pellicola sia come
opera sonora: i rumori delle strade del quartiere di Kauther, le
grida dei suoi figli, una canzone d’amore canticchiata mentre
pulisce e mette in ordine, risuonano sulle sue parole a sottolineare
lo scorrere di una vita ancora irrisolta. “Kauther” è stato
esposto presso istituzioni museali e università come il MAXXI
di Roma e la Columbia University di New York.
Ultimo film della trilogia che ha per protagoniste tre donne da
Siria, Tunisia e Libano, “The Little Lantern” racconta la storia di
Anni Kanafani, una testimonianza dell’energia e dell’utopia di
una donna danese, oggi 83enne, che ha lasciato il suo paese
scegliendo come “casa” i campi profughi di Beirut. La sua storia
inizia negli anni sessanta quando, per amore dello scrittore, poeta
e attivista palestinese Ghassan Kanafani, decide di trasferirsi
in Libano. Dopo la morte del marito, ucciso in un attentato
insieme alla nipote Lamis, Anni Kanafani decide di proseguirne
il sogno di giustizia e integrazione, rimanendo a vivere e a lavorare
nei campi palestinesi – oggi affollati anche da siriani – creandovi
degli asili dedicati all’istruzione e alla cura dei bambini.
Il film prende il titolo da una fiaba che Ghassan Kanafani aveva
scritto per la nipote, appunto “The Little Lantern”, che racconta
attraverso una metafora la creazione di una democrazia dal basso,
per una “primavera palestinese” che superi le barriere dei
campi profughi e dell’indifferenza attraverso la non-violenza, il
dialogo e la cultura. Il frame narrativo del film è costituito da un
laboratorio, ideato e coordinato dall’artista, nell’asilo creato da
Anni Kanafani nel campo profughi di Burj el Barajneh, che si è
concluso con la messa in scena dell’adattamento teatrale della
favola di Ghassan Kanafani – adattamento dello stesso artista
– in due teatri di Beirut. Il registro documentaristico e quello del
racconto di finzione si alternano così come i due tempi narrativi,
quello di un passato doloroso e di un presente dove questo
dolore trova il proprio significato.
Sulla trilogia "Bayt" e sul lavoro dell'artista Mario Rizzi, è in via di
pubblicazione una monografia da NERO con testi di Hamid Dabashi,
Stephanie Bailey, Isin Onol, Simone Frangi ed un'intervista all'artista
di Cristiana Perrella.