Memoria di un Giardino

Arte

MARCA - Museo delle Arti di Catanzaro, Via Alessandro Turco, 63, Catanzaro, CZ, 88100, Italia
22/02/2020 - 25/04/2020

Memoria di un giardino è la prima mostra personale di Maria Luigia Gioffrè. Un percorso installativo all’interno del Museo delle Arti MARCA di Catanzaro che diventa riflessione estetica sulla contemporaneità e le sue urgenze: il rapporto uomo-natura, la vita e l’aridità, il desiderio nel ripetersi all’infinito del gesto creativo. Una suggestione di immagini ed effetti sonori che, stanza dopo stanza, crea una trasfigurazione evocativa, un’alternanza di ritmi e stati d’animo che solo l’arte riesce a determinare. Fotografia, audiovisivo, effetti sonori si accavallano lungo il percorso trasformando lo spettatore in protagonista stesso dell’installazione.
L'infertilità della terra – un campo arato ma con rami secchi e vasi vuoti - diventa il tratto di congiunzione immaginario tra l’Eden primordiale e il paesaggio apocalittico di un futuro non troppo lontano. Una “fine del mondo” evocata non in chiave biblica o di denuncia politica ma come racconto dell'archeologia di una natura passata e futura. Desiderio e morte. Musica classica (una ninna nanna di Brahms) e il pianto di neonati, si sovrappongono fino a dileguarsi al cospetto di un rotolo di carta da carrillon ricoperto da segni asemantici primordiali e accompagnato dal suono rasserenante di un vero carrillon.
Dopo anni di sperimentazioni all’estero e in Italia insieme ad altri giovani artisti contemporanei, Maria Luigia Gioffrè, sceglie la sua terra, la Calabria e il MARCA, il Museo delle arti di Catanzaro, per allestire la sua prima mostra personale.
Dalla solitudine dell’archetipica della prima donna alla pluralità dei generi; da uno scenario atemporale ad uno post-industriale: in Eden una coppia di giovani (lui e lei, fratello e sorella, amante e giovante sposa, femmina e maschio, eros e anteros), vestiti con tuniche bianche e asettiche, ricostruiscono il Giardino, all’interno di un edificio decadente. L’aporia resta tale anche in Preghiera: sulla scena c’è un’unica donna che cinge e prova a suonare un corno trovandosi in una situazione precaria, di grande instabilità. Il suo tentativo diventa così tensione e desiderio di infinito.
Il percorso della mostra continua quindi con Il Giardino, installazione ambientale e immersiva. Il giardino - 25 tonnellate di terriccio scuro in uno spazio di 150 metri quadrati – si snoda tra le pareti del museo e si rivela attraverso suoni alle origini dell’esistenza di ognuno, pianti di neonato e musica di carillon. Un mix che diventa memoria e al tempo stesso suono dell’aridità che circonda lo spettatore. Conclude la mostra “Lettere di non corrispondenza per un vuoto permanente”: un rotolo di carillon lungo 5 metri che dall’alto arriva fino a terra. È ricoperto da segni asemantici che si fanno traccia. Una scrittura che parla nella voce ma non nella parola, gesto che non dice come nella ricerca dell’artista tedesca Irma Blank o nelle installazioni di Susan Hiller, l’artista americana e londinese d’adozione, scomparsa un anno fa.