PLASTIKOS a cura di Antonio Zimarino

Arte

Strada Pultone 2, Penne, PE, 65017, Italia
01/06/2019 - 15/06/2019

Presi come siamo dalla nostra autoreferenzialità spazio-temporale, interpretiamo troppo spesso le cose per
come il nostro contesto le intende e non secondo ciò che le cose sono o sono state, ovvero, non guardiamo
mai le stratificazioni di senso che le cose assumono nel tempo. Così facciamo anche per i nomi, per i
sostantivi: ci limitiamo a leggerli orizzontalmente senza renderci conto che spesso la loro “storia” il loro
portato semantico “verticale” (cioè di profondità) può essere molto più denso delle cose stesse.
Così Il termine πλαστικός (plastico) lo associamo automaticamente ad una delle cose peggiori che l’uomo ha
creato (oggi, peggiori, perché non si sa come liberarsene) ovvero alla “plastica”, ad una materia sintetica e
innaturale di cui ci siamo riempiti l’esistenza, non solo reale, ma anche metaforica: “mondi di plastica”, verità
di plastica” etc. … la plastica è finzione, artefatto, sintesi innaturale, orpello, consumo.
πλαστικός è invece qualcosa di molto più interessante: sia in latino che in greco plasticus oppure plastikos
significava “in grado di essere modellato” e si riferiva tanto al materiale argilloso che si usava per creare
ornamenti e modanature architettoniche che per indicare “colui che modellava” cioè che dava forma a quel
materiale.
Plasticus significa anche “colui che modella”, che da forma alla materia (modellabile); riflettendo intorno a
questo vero e proprio “campo semantico” è facile dedurre che non c’è reale possibilità di modellare cioè di
dare una forma alle cose, se non c’è qualcosa, una qualche materia che può essere modellata. Ci vuole
dunque qualcosa di “modellabile”, una materia che si può affrontare e che si presti ad acquisire la forma, che
si pieghi all’azione, alla forza e alla volontà di chi intende agire su di essa. Se ci riflettiamo però, è proprio
della nostra capacità intellettuale, della nostra capacità di “costruire cultura”, dare forma al mondo, o almeno,
al nostro. Sono le nostre scelte, le nostre idee, il nostro modo di avere relazione con il mondo che finisce
sempre per modellarlo, per dare un senso alla vita, l’esistenza, le idee, le relazioni; è propriamente “umano”
provare a costruire il proprio modo di stare al mondo, il proprio universo di relazioni: è propria degli esseri
umani la possibilità di dare un significato, una leggibilità a ciò che si è o che si vuole essere.
Ogni artista di questa rassegna prova, ciascuno a suo modo, di intervenire e “dare forma”. Ma “dare forma”
significa dare intelligibilità, dare possibilità di leggere, dare modo di comprendere, dare significato. “Dare
forma” in definitiva significa “dare senso” tanto alla materia, che alla propria azione, alla propria all’idea, alla
propria capacità di pensare, saper fare, saper guardare e saper “scegliere”. Questo sforzo però incontra
l’identità e la “personalità” propria della “materia” che si affronta: in questo gioco a significare, dobbiamo
imparare a fare i conti con ciò che le cose sono e rappresentano, cioè con i limiti.