“Threading Spaces”

Arte

23 Bruton Street Mayfair, Second Floor, London, England, W1J 6QF, United Kingdom
25/03/2019 - 03/05/2019

Dal 25 marzo al 3 maggio 2019 in mostra alla Repetto Gallery di Londra "Threading Spaces" curata da Paolo Cortese, oltre 20 opere di Nedda Guidi, Elisabetta Gut, Maria Lai e Franca Sonnino. Strumento da sempre collegato al mondo femminile e al gesto del cucire, cioè di unire, il filo diventa in questa mostra il trait d'union tra queste artiste che hanno operato a Roma negli anni '70 e '80.

Come un big bang, l’esplosione del ’68 dette origine, in Europa e oltre Atlantico,
a movimenti di liberazione particolarmente vivaci nei due decenni successivi. Fra questi
il femminismo e più in generale l’attenzione all’identità femminile che negli Stati Uniti
ebbe uno sbocco istituzionale con il sorgere dei dipartimenti di women studies in numerose università. Per quello che in particolare riguarda l’Italia, alcune artiste, pur lontane da qualsiasi militanza ideologica, scelsero come medium privilegiato il filo. Quasi a siglare quell’inizio, Mirella Bentivoglio, proprio nel 1971, eseguì un autoritratto “grovigl-io” realizzato con il filo, un materiale che in seguito non avrebbe più usato. L’artista (nota soprattutto per la produzione nel campo della poesia visiva) ha sempre avuto la vocazione di spingere, di collegare. A lei sono legate in vario modo le quattro artiste scelte per questa mostra, protagoniste nei due decenni e fruttuosamente
operanti fino ai nostri giorni, o quasi. Filare, tessere, cucire sono attività legate all’universo femminile fin da quando vennero inventate, nella realtà storica, anzi preistorica, nel mito e in antiche fiabe – le Parche, Penelope, la Bella Addormentata nel Bosco.
E’ una dea femminile, Aracne, a impersonare il ragno con la sua tela dalle incantevoli geometrie, attraenti e pericolose come quelle del web digitale. L’ago, che trasporta il filo a unire tessuti diversi, a ornare donando colore e bellezza, appare così contrapposto al pennello con cui i monaci nell’alto medioevo “ricamavano” i codici antichi, restando sulla superficie del foglio, oppure al chiodo che penetra con violenza
spinto dai colpi del martello. Si può inoltre ricordare che, per una strana coincidenza, il prefisso “filo” (dal greco) indica interesse, affetto, come nelle parole filologo, filosofo, filantropo. La scelta del filo come mezzo espressivo è ciò che accomuna le artiste
presentate in questa mostra, tutte protagoniste sulla scena artistica di Roma nei
cruciali anni ‘70 e ‘80. Nedda Guidi, più nota per le opere in ceramica, nelle carte dei primi anni ‘70 elabora complessi giochi tra filo e segno, sfruttando anche le righe virtuali tracciate dall’ombra. Le sue geometrie, sempre conflittuali (come rivelano alcuni titoli, ad
esempio “Convergenze divergenze”), con gli angoli raramente retti, spesso ottusi per indicare apertura, sfidano le tranquillanti certezze euclidee. Ne vengono scanditi spazi multipli che sconfinano nel metafisico. Per Elisabetta Gut il filo può essere vegetale.
Nelle sue opere, spesso minimali, usa carte, fili d’erba, paglia e frutti disseccati che
alterna a note musicali e scritture. Queste ultime sono frasi chiaramente leggibili,
parole quasi nascoste da fili scuri, gambi e altri elementi vegetali, oppure ben ordinate e affascinanti grafie di una lingua misteriosa, su una pagina le cui righe sono fatte da fili tesi. Sempre si tratta di opere realizzate con un perfezionismo estremo. A volte,
per attaccare una foglia a un pezzo di cartone non le basta un pomeriggio, come lei stessa racconta. Al centro del suo operare vi è il dilemma cultura-natura, oggi di
stringente attualità. Maria Lai è ormai nota a livello internazionale per i suoi stregoneschi libri tessili. Dalle pagine di stoffa “scritte” a macchina traboccano fili, come in un’ansia di uscire dal chiuso del volume per offrire conoscenza e sentimenti. Anche la sperimentazione verbovisiva degli anni ‘70 punta sulla comunicazione con la scelta dell’oggetto che ne è simbolo: la lettera. Timbri, strappi, cuciture rendono il messaggio ambiguo ma stimolante. Non si poteva prevedere allora che a questo strumento non restavano molti anni di vita per l’avvento di e-mail e sms. Si sarebbe così persa, con la fragranza cartacea, la fisicità che ci portava qualcosa del mittente, oltre alle parole. La stessa ricerca viene perseguita con carte e libri, dei quali vengono presentati alcuni esemplari in questa mostra. Il filo di Franca Sonnino ha un’anima metallica: le serve infatti
a delineare costruzioni fatte di vuoto. E’ il perimetro a suggerire la copertina
e le pagine sfogliate dei suoi libri, a dare corpo alle sue biblioteche. Pannelli appesi
alle pareti sfruttano il contributo fondamentale delle ombre, altro elemento che si
rifiuta al tatto come il vuoto che è la sostanza dei mattoni, anzi dei moduli usati
dalla Sonnino per costruire. L’artista ha una indubbia vocazione architettonica e alcune sue opere che si innalzano dal suolo con bizzarre inclinazioni fanno pensare a edifici di Gehry agli albori del decostruttivismo. Un maggiore intimismo denota i “dischi” nei quali il filo, nella sua sottigliezza, mima il segno grafico. Sembra che l’artista voglia concedersi momenti di raccoglimento, quasi di preghiera, tra un’opera muscolare e un’altra.
Franca Zoccoli