Andy Warhol & Robert Indiana, Spring in Love
Arte
Via Vittoria Colonna 9 e Via Vittoria Colonna 30, Roma, RM, 00193, Italia
17/04/2019 - 31/05/2019
“Flowers” e “Love”, due delle opere d’arte più conosciute del mondo non sono pezzi unici ma immagini di natura seriale e la loro planetaria diffusione come potenti icone dell’epoca aperta dal secondo conflitto mondiale è sicuramente andata oltre le più ottimistiche previsioni degli autori, prendendo anzi una piega per molti versi sfuggita al loro controllo. Le hanno concepite nello stesso anno, il 1964, due maestri della pop art americana, Andy Warhol e Robert Indiana. Gli emblematici capolavori sono protagonisti di una mostra che, da mercoledi 17 aprile, prende il via a Roma, in Via Vittoria Colonna. La organizza Restelliartco. negli ariosi locali del Carré Français, spesso utilizzati dalla galleria specializzata in pop art come ampliamento della sua superficie espositiva.
Spring in LOVE: una mostra sul concetto di serialità nella pop art
Uno dei tratti salienti della pop art è che i suoi esponenti dipingevano in modo simile ancora prima di incontrarsi. L’idea di lavorare sui fumetti era ad esempio venuta sia a Roy Lichtenstein che ad Andy Warhol, ma Lichtenstein aveva presentato per primo i suoi lavori a Leo Castelli, mettendo a segno il magistrale colpo di essere chiamato a far parte della scuderia di quel grande gallerista. Così, quando Ivan Karp, braccio destro di Castelli e uomo di punta della sua galleria, gli fece vedere i dipinti dello sconosciuto collega, Warhol prese una decisione campale ai fini degli sviluppi della sua carriera e della stessa pop art “In quell’istante avevo deciso che, dato che a Roy i fumetti venivano così bene, io li avrei lasciati perdere completamente e mi sarei mosso in altre direzioni, in cui sarei potuto riuscire primo, come la quantità e la ripetizione”.
Quantità e ripetizione, vale a dire serialità, tema nodale della pop art e concetto esplorato dalla mostra curata da Filippo Restelli e Raffaella Rossi prendendo lo spunto dalle festose immagini dei Flowers, di cui si espone l’intero portfolio Sunday B. Morning, e del Love, proposto in molteplici versioni, compresa la deliziosa serie di arazzi dedicata alle quattro stagioni: Spring LOVE, Summer LOVE, Fall LOVE, Winter LOVE.
“Flowers”
il soggetto più ricorrente di Andy Warhol non è di natura commerciale
Warhol è per tutti l’artista delle Marilyn e della zuppa in scatola, ma, statistiche alla mano, tra le tante icone prodotte dal profetico artista di Pittsburgh, la più diffusa è quella che mostra quattro sagome di fiori distese su uno stilizzato tappeto erboso, un’immagine di semplicità quasi infantile declinata in numerose varianti di colore (dieci nel famoso portfolio esposto da Restelliartco al Carré Français). Di che fiori si tratta? Il critico del New Herald Tribune li descrisse come anemoni, opinione non condivisa dal collega del Village Voice, convinto di riconoscere dei nasturzi, sarebbero invece viole del pensiero per Arts e Art News. E invece lo spunto per creare uno dei caposaldi della sua iconografia pop fu offerto a Warhol da una foto raffigurante sette fiori di ibisco. Intercettato nel 1964 sul magazine Modern Photography, lo scatto diede luogo a una tipica operazione pop di distillazione di uno stimolo visivo tratto dalla quotidianità e dai media. Una trasmutazione alchemica che non impedì alla fotografa naturalista Patricia Caulfield di riconoscere la matrice del virale capolavoro pop in una sua foto, una “ruberia” che decise di perseguire legalmente causando al povero Warhol non pochi grattacapi.
In molti si sono interrogati sui motivi della scelta di un soggetto naturalistico apparentemente estraneo alla poetica di Warhol. Senza la pretesa di fornire risposte definitive, non si può fare a meno di notare che al grande rabdomante delle tendenze del suo tempo, uno che le mode le fiutava con largo anticipo, non potevano sfuggire i primi segnali dell’imminente stagione del flower power, espressione verosimilmente coniata nel 1965 da Allen Ginsberg per definire il fenomeno della nuova cultura hippy. I Flowers di Warhol sono le truppe avanzate dell’invasione floreale che, nella seconda metà degli anni ’60, interesserà tutti i campi della cultura e del costume. Protagonisti della moda, del design, dei testi delle canzoni, di lì a breve i fiori inzepperanno il mondo. Fiori pop, rigorosamente artificiali, nati dalle allucinazioni lisergiche dell’oramai imperante cultura della droga. Warhol, che non si droga ma osserva con vorace curiosità gli effetti dell’abuso di stupefacenti sui creativi che ospita nella sua Factory, registra tutto e commenta con quei suoi incisi figurativi che sono il succo degli anni in cui vive.
È per questo legittimo domandarsi quale sia la vera natura delle coloratissime icone floreali che arrivano in sequenza dopo le Electric Chairs e i Race Riots e sono praticamente coeve dei ritratti di Jackie Kennedy desunti dagli scatti rubati al suo dolore il giorno dell’assassinio del marito. Intervalli leggeri tra un disastro e l’altro o moderne vanitas? Perché il fiore all’apice del suo splendore porta già in sé il principio della decadenza e della morte e gli artisti lo hanno sempre saputo.
“LOVE mi ha morso”
Storia di un’opera che ha oscurato il suo autore
Come i Flowers di Warhol, il LOVE di Indiana intercetta l’avvento della cultura hippy e la cultura hippy se ne approprierà facendone una delle sue icone predilette. Le analogie tra le due opere non finiscono qui: ideate nello stesso anno, il 1964, sono state trascinate in un vortice di popolarità parzialmente sfuggito al controllo degli autori.
È successo a Warhol con le Sunday B. Morning, una divertente storia di riproduzioni da lui formalmente non autorizzate ma in realtà frutto di un’ambigua e divertente operazione in parte concertata e in parte subita dall’artista. Ed è soprattutto successo alle quattro lettere maiuscole più famose del ‘900: “ LOVE mi ha morso, è stata una meravigliosa idea ma anche un terribile errore. È diventato troppo popolare” “Tutti conoscono la scritta LOVE, ma non hanno la minima idea di come sono fatto. Sono praticamente anonimo”. La travolgente corsa dell’opera che procede verso la gloria lasciandosi alle spalle il suo creatore è alimentata da una svista, fu infatti lo stesso Robert Indiana a dare origine ai mille rivoli delle riproduzioni fuori controllo dimenticandosi di registrare la sua formidabile invenzione figurativa.
La storia del LOVE inizia da una committenza di tutto rispetto, è infatti il MOMA di New York ad affidare a Robert Indiana l’incarico di disegnare una cartolina natalizia da mettere in vendita nel bookshop del museo. L’artista si ricorda di un lavoro realizzato tempo prima per una parrocchia della Christian Science, uno stendardo con il motto Love is God, di cui ricicla la prima fatidica parola: love, scritta in caratteri maiuscoli disposti in modo da formare un quadrato e con la O inclinata per conferire all’immagine dinamismo e personalità. I colori, lettere rosse in campo verde e blu, sono un omaggio alla sua infanzia nell’Indiana e, soprattutto, alla figura del padre, dipendente della compagnia di carburanti Phillips 66 che all’epoca utilizzava insegne rosse e verdi: “Era bellissimo stare in macchina a guardare quell’insegna verde e rossa contro il cielo blu dell’Indiana”. La cartolina diviene in breve tempo il gadget più venduto del museo. Nel giro di un decennio l’opera, un vero colpo di genio, assume per la sua epoca il valore di una bandiera. Nel 1973 viene riprodotta su 330 milioni di francobolli dello U.S. Postal Service, nel 1976 si ingigantisce in monumentale scultura voluta dalla città di Filadelfia per il parco dedicato a John Fitgerald Kennedy, non c’è praticamente limite alla sua riproducibilità. Il LOVE è ovunque e percorre una sua carriera per molti versi svincolata da quella del suo ideatore, che, disperato, arriva a farsi fotografare davanti alle molteplici varianti dell’ingombrante capolavoro per ricordare al mondo chi l’ha fatto.
Serialità della pop art e suoi imprevisti nella mostra di primavera di Restelliartco.