Ballata Vogelkop

Arte

Vicolo al Leon D'Oro, 4A, Parma, Pr, 43121, Italia
23/11/2018 - 14/12/2018

Ballata Vogelkop
Testo di Rossella Moratto

«I corpi non nascono; si fanno»
Donna Haraway, Manifesto cyborg

Il confine tra natura e cultura è un’illusione: l’antropizzazione del pianeta ne ha radicalmente assottigliato la distinzione, rendendo permeabili categorie quali naturale e artificiale, organico e inorganico. Nell’Antropocene i dualismi sono superati e imbastarditi dall’accoglienza del loro opposto, incrociati e collegati inestricabilmente tra loro anche se i loro fantasmi persistono ancora come retropensieri di una nostalgica mancanza di certezze che caratterizza la nostra contemporaneità in perenne e rapido mutamento, alla quale, come eredi diretti del secolo breve, fatichiamo ad adattarci. In questo scenario, incomprensibile attraverso le tradizionali categorizzazioni e in attesa di nuovi paradigmi in grado di descriverne la condizione di perenne transito – di cui le mutazioni genetiche, i cambiamenti climatici, le migrazioni non sono che le conseguenze più visibili – la devianza non è più eccezione ma norma e il concetto di mostruosità si identifica con il normale esito del processo naturalculturale di evoluzione e di inevitabile riorganizzazione classificatoria. L’adattamento e l’evoluzione biotecnologica portano inevitabilmente all’estinzione di specie conosciute o alla loro fusione e alla nascita di nuove, più resistenti e performanti, interconnesse rizomaticamente da inediti legami di parentela.

Il piano biologico è inestricabilmente legato a quello tecnologico, sociale e politico in una complessità che esige rappresentazioni di confine, trasversali e antidualistiche, della contaminazione in atto, in grado di fondare una nuova epistemologia della molteplicità del vivente. In questo processo di elaborazione di modelli alternativi l’arte svolge un ruolo non marginale che, partendo dall’osservazione del presente filtrata attraverso la diffrazione del prisma dell’immaginazione, è in grado di prospettare forme, figure e scenari di un possibile futuro prossimo – che è già accaduto.

Il Vogelkop bowerbird, uccello tipico della Nuova Guinea, è in questo senso una figura paradigmatica: nell’utilizzo di oggetti di diverse provenienze (quali frammenti di scarti industriali e materiali organici) a scopo seduttivo e decorativo sia nel rituale di corteggiamento che nella costruzione del nido, compie un salto evolutivo tale da essere considerato una specie particolare, differente dalla famiglia di appartenenza. È la figura scelta come metafora di uno scenario che Francesco Pacelli immagina creando un ambiente verosimile ma possibile, dove convivono specie meticciate in cui biologia e tecnologia sono fuse – e confuse – in nuove creature (o creazioni) tecnorganiche, intese come costrutti socio-culturali. Un nido-termitaio vuoto (The anachronism of the species makes us very fragile) dalla superficie squarciata apparentemente sorretto da una propaggine filiforme luminosa, un gruppo di ibride stalattiti e stalagmiti (Cas9) le cui sedimentazioni millenarie hanno generato dei denti, alcuni coralli (Exodus) dotati di minuscoli bulbi oculari che, staccatisi dal corpo, si diffondono viralmente come microprotesi esploratrici – o forse predatrici – di un habitat che la rapidità di trasformazione rende continuamente alieno, due calotte plastiche (The tripophiles), forse dei primordiali caschi per viaggi virtuali oppure esoscheletri calcificati in attesa di organi, convivono con presenze invisibili che si palesano con rumori e suoni disarmonici nella trama ritmica della caduta libera di una goccia che si riverbera nello spazio (Contemporary soup). In questo paesaggio una pallina da ping-pong, rassicurante traccia del nostro tempo, ci riporta al presente. Un oggi in cui la transazione da organismo a cyborg è già avvenuta e «gli organismi biologici sono diventati sistemi biotici, strumenti di comunicazione come qualsiasi altri» (1). Irriducibilmente eretici, si sottraggono alle rigide definizioni già date e, seppure condizionati, sono in grado di condizionare a loro volta la nostra visione del mondo come «risorse immaginative ispiratrici»(2). Il diorama di Francesco Pacelli ne è una riproduzione da laboratorio realizzata con materiali eterodossi – resina, pigmenti, smalti industriali, ceramica, luci led – trattati utilizzando tecniche miste – il modellato tradizionale insieme a strumenti di fabbricazione digitale propri del contemporaneo. Tecnologia, industria e artigianato si incrociano anche sul piano realizzativo nella sperimentazione di saperi pluridisciplinari e di pratiche in cui l’oggetto è luogo di iscrizione complessa e ibrido tra materia e linguaggio.

(1) Donna Haraway, Manifesto cyborg. Feltrinelli, Milano, 1995 p. 79 (Prima edizione: A cyborg manifesto, Routledge, New York 1991.)
(2) Ivi p. 23