Fiorenza Pancino e Franco Tosi. La sostanza naturale
Arte
Piazza Guglielmo Marconi 1, Argenta, FE, 44011, Italia
08/03/2025 - 13/04/2025
Sin dai tempi più antichi, la natura ha rappresentato per gli artisti una fonte di ispirazione fondamentale, declinata in un’infinità di varianti formali, allegoriche e tecniche a seconda delle epoche e delle civiltà. A prescindere dal genere canonico del paesaggio, la luce, il colore e la trama degli elementi naturali hanno offerto (e continuano a offrire) agli artisti inesauribili spunti per sperimentare processi e costruire linguaggi. Al di là di ogni intenzione simbolica o concettuale più legata a specifici contesti culturali, la matrice naturale in arte si rivela essere ancora oggi estremamente vitale nell’indurre gli artisti a suscitare nuovi mondi, in un costante attraversamento di dimensioni estetiche, speculative, sensoriali e psicologiche. Afferiscono a tale ambito le ricerche di Fiorenza Pancino, ceramista, e Franco Tosi, pittore, qui convocati in un inedito dialogo che mette in campo una selezione di opere realizzate in vari momenti della vicenda creativa di entrambi, a dimostrazione di quanto questa linea artistica continui a essere significativa e gravida di accadimenti.
Il lavoro di Fiorenza Pancino si fonda sulla convergenza tra una raffinata sapienza di stampo artigianale e la pura sperimentazione formale e coloristica, operata attraverso un personalissimo vocabolario espressivo fatto di simboli, gesti, ossessioni e impulsive incarnazioni tattili delle sue vicende emotive più intime. Quello dell’artista si potrebbe definire come una sorta di «umanesimo imperfetto», in cui l’essere umano (sempre protagonista anche nelle composizioni più astratte) non è più centro e misura, ma materia vulnerabile, di cui il fuoco concretizza i provvisori equilibri strutturali. Pancino nelle sue manipolazioni scultoree si avvale degli archetipi della modellazione in creta, come il cilindro, il disco, il tubolare o la ciotola, che vengono trasformati dai suoi gesti in organismi plastici autonomi dotati di aculei, increspature, ammaccature, voragini, rigonfiamenti e tentacoli protesi alla conquista dello spazio circostante. È come se la materia, tramite il suo intervento, venisse risvegliata nel proprio sommovimento interno e diventasse senziente per farsi riverbero esistenziale di un processo di coscienza che nei suoi esiti travalica la circostanza autobiografica per offrirsi con delicata vulnerabilità alla compartecipazione collettiva. Le sue creature sono entità ibride generate dalla ripetizione di un gesto che è al tempo stesso esplorativo e curativo, attraverso il quale i nodi interiori dell’artista (ma anche quelli di chi guardando le opere si sintonizza con il suo fare) possono sciogliersi e ricomporsi come presenze esterne, ora oggetto di meraviglia grazie alla loro nuova forma.
Se le opere di Fiorenza Pancino si possono assimilare alle manifestazioni particolari di una natura-corpo che prova a individuarsi per instaurare una relazione empatica e paritaria con la componente umana da cui in ultima istanza derivano, nei dipinti di Franco Tosi il fattore naturale, nella stessa misura fondante, è presente in tutt’altra accezione. Quelle del pittore, infatti, sono grandi tele di intonazione a prima vista monocroma che si impongono nello spazio come installazioni ambientali, in cui i silenziosi avvenimenti che scopriamo man mano emergere dalla superficie pittorica ci danno l’impressione di essere sul baratro di un panorama sconfinato e incontrollabile. In effetti, i dipinti che Tosi definisce a ragion veduta come «paesaggi mentali», situano il nostro punto di vista in una recondita intercapedine tra il nostro infinito privato, a sua volta mentale e biologico, e l’infinito del creato, che attraverso essi si rende disponibile a essere esplorato sia in accezione cosmica sia in senso lenticolare. Alla radice di questa inspiegabile affinità transdimensionale c’è la matrice naturale, che nel caso di Tosi è inscritta nel DNA della pittura. Nel suo processo creativo, infatti, la tecnica tradizionale dell’olio è ibridata con l’immissione di ricercati materiali di derivazione vegetale, come la resina di pino degli Urali, le foglie secche degli aceri rossi di Central Park triturate fino a farne un pigmento, la secrezione dorata di un particolare coleottero thailandese usato in ebanisteria e altri segreti di bottega che riallacciano la sua prassi ai trattati tecnici sulla pittura in voga tra medioevo e rinascimento.