Mauro Folci / Dell’azione negatrice

Arte

Fourteen ArTellaro, piazza Figoli 14 Tellaro , Lerici, SP, 19032, Italia
12/05/2018 - 31/05/2018

È una lastra di ottone con incisa la scritta, "non è vero che non". Realizzata da Mauro Folci nel 2008 in occasione di un seminario in un liceo artistico di L’Aquila. Successivamente, nel 2014, esposto allo Space 4235 di Genova come opera unica dell’omonima mostra personale.
Anche qui "Non è vero che non" è la sola opera esposta e la prima a iniziare la nuova rassegna di Fourteen ArTellaro "La superficie accidentata"
curata da Gino D'Ugo.

Il principio è la parola e il principio deriva dalla negazione, le tenebre.
Quello che non c’è e da cui tutto può avere un inizio, e se in principio era il verbo, questo nasce da un mugugno o da un urlo, che serve a spiegare ciò che non si vuole.

Pensare, vuol dire pensare un’impotenza, vuol dire pensare nella mancanza, è nel segno negativo che il pensiero sorge, da una negatività originaria senza la quale non è possibile alcun esercizio cognitivo. Heidegger, a proposito degli stati d’animo come la noia o l’angoscia, diceva una cosa simile, è in questa condizione esistenziale regressiva fin dove il mondo e il tempo si congedano da noi che si fa esperienza dell’aperto, dell’ultrapotenza, è lì che è possibile filosofare.
Il più costruttivo momento della crescita mentale di un bimbo e della sua esistenza è il momento del no, la messa in discussione di ciò che è propinato dal mondo esterno e in particolar modo prima dai genitori, poi dalla società.
È con il no che si prendono le distanze e le successive misure dalle cose e dagli altri, ed è con il no che si crea la propria coscienza di ciò che è intorno a noi.
Volgendo lo sguardo più indietro, alla scena primordiale del positivismo illuminista, Adorno racconta per mezzo dell’Odissea della negazione che caratterizza l’alienazione del sé/natura da un fuori sorretto dalla logica della ragione. Un’aspra dialettica che naturalmente ci portiamo dietro, un’estenuante resistenza al richiamo dell’indistinto naturale, ai Lotofagi, alle Sirene, ai Ciclopi, a Circe, che ci dice come la storia propriamente umana abbia avuto inizio con un disconoscimento, con una separazione, con un atto di negazione dei propri caratteri naturali. La nostra è la storia di questo esodo.

“La vera espressione della potenza è deducibile solo dalla facoltà di non passare all’atto. La potenza è sempre una potenza-di-non, è un trattenere, è una facoltà anestetizzata, è una decisa impotenza, è indissolubilmente legata alla possibilità di non passare all’atto, il suo codice genetico è non, una negazione.
Il non ha una natura anfibia perché, se da un lato è espressione di un mancato riconoscimento, dall’altro si presenta come unico antidoto al non riconoscimento: “non è vero che non”. La negazione è il farmaco del linguaggio, è il rimedio per il veleno che essa stessa inocula nella comunicazione tra gli umani.
Si deve ricordare lo statuto particolare della negazione che, perché funzioni, ha bisogno di riferirsi all’oggetto negato riconoscendogli in questo modo una possibilità di essere diversamente: oltre al rischio di un mancato riconoscimento, oltre ad essere il motore di ogni disobbedienza e di ogni devianza dalle norme, il non è anche il dispositivo che può sospendere il conflitto, rimandandolo in un tempo a venire.
la visione soggettiva fortemente posizionata, non dialettica e per nulla democratica: NON E’ VERO CHE NON si può vivere senza re e senza padrone”. (m.f.2008)

Il “Non è vero che non“ trasforma e da forza al NO, ma anche al SI. Allora la negazione diventa asserzione.
Quando, per esempio, il nazista dice all’ebreo “tu non sei un uomo” relegandolo al nulla per una sua volontà di annientamento e supremazia l’unica rivalsa verbale dell’ebreo non può essere che dire “non è vero che non sono un uomo” affermando se stesso e facendo della propria allocuzione un SI alla vita, un SI all’esistenza.
Allora il SI appropriandosi della sua sostanza ha tutta la potenza del primigenio NO con il carattere dell’affermazione.

Qui, nello spazio Fourteen ArTellaro la doppia negazione viene messa in relazione e dentro un contesto di ricerca, avviato da un paio di anni da Folci, che è la fine dell’Azione negatrice, espressione più efficace e con maggiori articolazioni dell’abusata fine della storia.