Nome Utente: nicolotomaini

Arte

via D. Manfredi, 26, Maleo, LO, 26847, Italia
25/10/2025 - 30/11/2025

La ricerca di Tomaini, nato nel 1989 nella provincia di Lecco, da oltre quindici anni è concentrata sull’esito delle trasformazioni e sul sempre più pesante impatto che l’evoluzione delle nuove tecnologie ha sulla vita in generale, sulle importanti trasformazioni che ha portato nella società, nella quotidianità, nei rapporti personali e nel ruolo che l’essere vivente ha all’interno di una realtà così massicciamente condizionata. Il suo lavoro si focalizza sulla “tecnologia della comunicazione”, che in tempi recenti ha per molti versi preso il sopravvento e, con esiti spesso imprevisti (anche perché a priori difficilmente prevedibili) finito con il condizionare fin nell’intimo aspetti che era legittimo attendersi che sarebbero rimasti immuni dal controllo e normazione.
Le incisive e elaborate suggestioni visive di Tomaini, costruite facendo ricorso a tutti mezzi espressivi di volta in volta ritenuti più idonei a suscitare una riflessione critica senza nulla concedere alle lusinghe di un’estetica accattivante, secondo i canoni propri dello spirito fissato fin dall’origine – per l’appunto – dalle avanguardie, si possono considerare per molti versi un bilancio critico, a circa un secolo dal primo manifesto futurista, delle aspettative e delle illusioni germogliate in quel contesto e in quel passaggio storico.
La sua ricerca, come si è accennato, è incentrata sui dispositivi attraverso cui l’immagine soppianta la realtà e sui loro effetti pratici sugli esseri umani. Nelle sue opere il corpo non è mai fisicamente, visivamente presente: è sempre evocato, dato per presupposto, è il destinatario finale ma impercettibile delle dinamiche alienanti, che sono invece per quanto possibile ritratte in modo addirittura iperrealista. Il corpo vivente infatti è presente in quanto oggetto di rimozione, di assorbimento e virtualizzazione all’interno del rapporto sociale, degradato a comparsa e costretto nel ruolo di oggetto dell’espropriazione di senso, di pretesto per giustificare l’incremento di una pseudo-comunicazione, di cui esso stesso non è niente più che una protesi, che ambisce ad imporsi come unica verità possibile, come rappresentazione che si trasforma nella realtà sterile del mondo in cui la vita biologica anziché bene primario è considerata nulla più che un accidente necessario.
Nella sua accorata denuncia Tomaini non usa enfasi, non esaspera i toni, ma si rimette piuttosto ad allestire scenari angoscianti: ammonisce attraverso l’assenza, denuncia la consunzione mostrandola come già avvenuta, come un fatto che si è compiuto, che è stato portato a termine senza incontrare una adeguata resistenza. C’è in tutto ciò il senso del disagio creato dalle inquietanti prospettive che si aprono davanti alla sua generazione. Vengono qui presentate le più risalenti serie dei caricamenti e dei silicio, realizzati intervenendo su vecchi quadri di maniera per fissare la videata della fase di trasformazione (caricamento o cancellazione) che appare sul monitor del dispositivo, che nei silicio è affiancata a una sezione in cui sono riprodotti i caratteri digitali del codice sorgente al cui interno sono inseriti gli algoritmi di distruzione dell’immagine; più recenti la serie dei teatrini, assemblaggi di elementi rovinati dei pupi siciliani con parti dei codici informatici riprodotte sui pannelli laterali del palcoscenico. Nella serie Le 120 giornate di Sodoma si intravedono, chiuse dentro pacchi da spedizione, opere d’arte ridotte a gadget da vendere, acquistare, inviare o ricevere. Altro monito tutt’altro che enigmatico: lo scambio commerciale, la mercificazione totale, hanno a tal punto preso il sopravvento che l’imballaggio, su cui spicca e si impone visivamente il logo del vettore, lascia a mala pena scorgere dettagli irrilevanti del contenuto.
Nei Ritratti di illusionista Tomaini ancora una volta parte da opere del passato, di un tempo in cui, senza infingimento alcuno, ritratti, scene di vita, ambienti, paesaggi, si presentavano per quello che erano: la riproduzione veridica di una realtà che aveva la funzione di mostrare, non di interpretare. Procede poi sostituendo parti di tali immagini con innesti di pezzi di schede di computer, che nell’immagine che si compone nel suo insieme si presentano come squarci nella finzione di cui disvelano l’origine, denunciando che ciò che appare ai nostri occhi come il mondo in cui crediamo di vivere è in realtà un’apparenza creata artificialmente affinché il controllo dell’esistente rimanga saldamente nelle mani di chi ne tesse le fila. L’impatto è di notevole effetto: il dispositivo elettronico infatti lacera la forma, la ferisce, la aggredisce danneggiandola come con cancro che la attacca dall’interno.

Filippo Mollea Ceirano